Le mani della Belviso sull’assistenza domiciliare


ImmagineAgli sgoccioli della propria permanenza in Campidoglio la destra vuole portare a casa la riforma dell’assistenza domiciliare a disabili e anziani, facendola partire da marzo. Obiettivo dichiarato: abbattere le liste d’attesa del 25 per cento, assistenza a 1.500 persone in più e nuovi servizi, con la vicesindaco Sveva Belviso che annuncia vittoriosa: ”Rivoluzionato il sistema. Ogni utente potrà ricevere un’assistenza personalizzata”. Peccato che il grande assente tra gli attori della nuova proposta: il cittadino utente. La riforma infatti, per mantenere la spesa “storica”, si basa essenzialmente su una forte riduzione del servizio individuale, difficile da comprendere per i soggetti che ne usufruiscono. Inoltre bisogna prestare attenzione, nella trasformazione dal “pacchetto” “all’accesso”, a non cancellare una parte essenziale dell’intervento, ovvero la relazione tra operatore e utente: non dobbiamo infatti dimenticare che l’efficacia della presenza del servizio è data non solo dall’efficienza con cui viene svolta la parte più pratica, ma dall’aspetto fondamentale della relazione che si instaura tra l’operatore e l’utente, che è quella che da la possibilità di monitorare costantemente la soglia di benessere dell’individuo e del suo contesto. Allargare lo spettro dei diritti non può significare sottrarre servizi a chi ne ha necessità, nè ridurli a mero efficientismo. Bisogna piuttosto mettere in campo, oltre ad una comprensibile razionalizzazione, nuove risorse sia economiche che umane (allargare effettivamente l’organico degli assistenti sociali da distribuire nei servizi territoriali), nuovi strumenti (che fine ha fatto l’integrazione socio sanitaria?), la certezza dei pagamenti per le cooperative che garantiscono l’assistenza (che si traduce in una possibilità di investire nelle risorse umane e strumentali, in modo da innalzare la qualità degli interventi) per arrivare a più cittadini. Occorre un investimento significativo sulla riforma che permetta di non tagliare sui servizi già in essere, al di là della necessità di razionalizzazione degli interventi e ripensare alcuni aspetti della riforma che rendono il servizio non attento alla singola persona e al lavoro dovuto, per evitare che il bisogno dell’utente cresca a causa di una inadeguata pressa in carico. Inoltre serve restituire centralità al lavoro del servizio sociale territoriale, che permetta la contestualizzazione dell’intervento e il suo monitoraggio (anche la sua eventuale rimodulazione) nel tempo, per renderlo sempre aderente alle esigenze dei cittadini. Non si può portare avanti questa riforma senza trovare centralmente le risorse necessarie per l’adeguamento delle tariffe per le cooperative sociali, e provvedere, così come indicato, alla stabilizzazione degli operatori e alla loro qualificazione: tale costo infatti non può in nessun modo ricadere sui municipi, già stremati dal ritardo nell’approvazione del bilancio e non dotati di queste risorse extra ordinarie.

Domani giovedì 10 gennaio conferenza stampa del Pd, ore 15, a via delle Vergini!

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